Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo leggi articolo leggi fascicolo


La tutela della partecipazione del socio tra danno "diretto" e danno "riflesso". (di Fabrizio Sudiero (Avvocato in Torino, Dottore di Ricerca in Diritto, persona e mercato e Cultore della materia di diritto commerciale presso l’Università degli Studi di Torino))


Il saggio intende, nella sua prima parte, tracciare le basi per una linea di indagine scientifica avente ad oggetto la tutela della partecipazione sociale, cercando di individuare e sistematizzare le diverse posizioni del socio e le sue tutele, tenuto conto del doppio valore intrinseco della partecipazione sociale: quello monetario e quello "partecipativo". Nella seconda parte si propone di applicare tale metodo proposto all’esame della tutela della partecipazione del socio nelle società a partecipazione pubblica, dalla cui nuova disciplina tenta inoltre di trarre conferme per le tesi prospettate.

The shareholding protection among "direct" damage and "reflected" damage.

The essay, in its first part, aims to trace the basis for a line of scientific investigation concerning the protection of the shareholding, trying to identify and systematize the different positions of the shareholders and its protections, taking into account the double intrinsic value of the shareholding: the monetary one and the "participatory" one. In the second part, it intends to apply this proposed method to the examination of the protection of the shareholding in companies with shares held by public entities, from whose new discipline it also tries to obtain confirmations of the proposed theses.

1. Società e comunione e la duplice natura del valore della partecipazione sociale Il tema della tutela della partecipazione sociale affonda, ad avviso di chi scrive, le proprie radici nella diversità ontologica esistente tra gli istituti della comunione e della società. Sebbene tali istituti evochino, entrambi, il concetto di proprietà, inteso, in particolare, nella sua duplice accezione di diritto e di res oggetto di questo [1] e sebbene presentino la comune caratteristica di descrivere, entrambi, una situazione di comunanza di interessi tra diversi individui  [2] connotata da una (seppur diversa) organizzazione unitaria [3], essi sono concetti profondamente diversi [4]. La prima è, infatti, mera contitolarità di diritti volta al mero «godimento di una o più cose» (art. 2248 c.c.) che, quantomeno secondo l’orientamento prevalente, non dà origine ad alcun soggetto giuridico [5]. La seconda consiste, invece, in un contratto (o un atto unilaterale) che sorge per l’esercizio in comune di un’attività economica al fine di dividere gli utili e che dà vita ad un soggetto giuridico [6], ad un centro autonomo di imputazione di diritti e obblighi (art. 2247 c.c.) [7]. I beni su cui cade la contitolarità, quindi, sono, nella comunione, direttamente oggetto di godimento dei comunisti, secondo la loro destinazione, mentre, nella società, sono strumento per il compimento di un’attività, i cui eventuali risultati saranno ripartiti tra i partecipanti ad essa. Con il conferimento in società si verifica non solo una scissione tra patrimonio conferito dal socio e suo patrimonio personale, ma una vera e propria “sublimazione” di tale patrimonio per il perseguimento di un interesse (quello sociale) che trascende quello del suo mero godimento e che ben può non coincidere con quello del soggetto conferente. A questi “resta” (o, meglio, viene attribuita), come contropartita, una quota, non del patrimonio sociale (come avverrebbe se i due concetti, di società e comunione, si equivalessero), ma di “partecipazione” alla so­cietà. Naturale corollario di quanto precede è la diversa posizione dei soci rispetto a quella dei comunisti, nonostante in entrambi i casi vi sia una, seppur differente, “comunione di interessi” tra i relativi partecipanti. Nella comunione, da un punto di vista ontologico-sostanziale, la quota, sino alla divisione, non ha propria consistenza materiale e l’opinione prevalente, di conseguenza, la considera come misura e limite della situazione giuridica di ciascun titolare  [8], come una frazione meramente “ideale” del bene comune  [9], che attribuisce al suo titolare, accanto a numerosi doveri, diversi diritti (art. 1101 c.c.), i quali, [continua..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login

inizio