Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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l labile confine tra affitto d'azienda (o di un suo ramo) e locazione di immobile ad uso commerciale (di Mario Paccoia, Professore a contratto di diritto privato nell’Università degli Studi di Milano – Bicocca.)


Il presente lavoro, prendendo spunto da una recente pronuncia della Corte di Cassazione (17 febbraio 2020, n. 3888), si propone di apportare un contributo in relazione alla problematica distinzione tra affitto d’azienda e locazione di immobile, individuando nel requisito dell’“organizzazione” il fondamentale elemento discretivo fra le due confinanti fattispecie.

The blurred boundary between company lease (or of its branch) and property rental

This work, taking cue from a recent ruling of the Court of Cassation (17 February 2020, n. 3888), strives to give a contribution in relation to the problematic distinction between company lease and property rental, identifying the requirement of “organization” as the fundamental distinguishing feature between the two bordering cases.

1. Casus decisus Con l’arresto 17 febbraio 2020, n. 3888, la terza sezione della Corte di Cassazione torna ad occuparsi della qualificazione del contratto mediante il quale viene attribuito il godimento di un locale commerciale [1]. Nel caso deciso, la proprietaria di un immobile ubicato in un centro commerciale conveniva in giudizio l’affittuaria di un ramo d’azienda al fine di chiedere la sua condanna al rilascio del ramo, costituito da alcuni locali con le rispettive attrezzature e pertinenze, sul presupposto dell’intervenuta scadenza naturale del contratto, con condanna al risarcimento dei danni subìti e degli interessi. Si costituiva la convenuta chiedendo il rigetto della domanda in quanto il contratto ex adverso invocato doveva ritenersi nullo o inefficace o inopponibile e che invece dovesse essere accertata la sussistenza di un rapporto di locazione commerciale (anziché di affitto di ramo d’azienda) con la decisiva conseguenza che in tale ipotesi la disdetta dovesse ritenersi inefficace e conseguentemente il rapporto prorogato per ulteriori dieci anni. In entrambi i gradi di merito [2] il contratto inter partes è stato qualificato nei termini prospettati dalla ricorrente (id est come affitto di ramo d’azienda) in quanto «le parti [avrebbero] inteso trasferire unitariamente un complesso di beni mobili ed immobili dotato di potenzialità produttiva, ancorché l’attività non fosse iniziata al momento della conclusione del contratto». In particolare, secondo il giudice territoriale, i principali argomenti a sostegno della qualificazione del rapporto quale affitto di ramo d’azienda erano costituiti innanzitutto dalla potenzialità del complesso che non sarebbe esclusa dal mancato inizio dell’attività al momento della cessione o dalla circostanza che l’immobile ceduto fosse ancora «al rustico»; in secondo luogo, sarebbe stata poi rilevante la collocazione del locale all’interno di un centro commerciale. La società “affittuaria” proponeva ricorso per cassazione sul principale presupposto dell’asserita erronea qualificazione del contratto, il quale, al di là del nomen iuris concretamente impiegato, avrebbe dovuto essere qualificato quale locazione commerciale. Secondo la prospettazione della ricorrente, infatti, al momento della conclusione del contratto, il bene ceduto era grezzo e inagibile, sicché non poteva dirsi preesistente una unità produttiva, solo successivamente posta in essere ad opera della conduttrice. Inoltre – sempre secondo la ricorrente – proprio in ragione della superiore considerazione, nel caso di specie sarebbe mancato quel complesso di beni e servizi finalizzato all’esercizio dell’impresa, nel senso che quest’ultima era semmai riconducibile all’esclusi­va organizzazione della [continua..]

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