Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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Introduzione (di Luciano Panzani)


Dai dati forniti dall’Osservatorio delle Società e delle Imprese della Camera nel 1978 gli Stati Uniti approvarono la riforma della loro legge fallimentare introducendo nel Bankruptcy Code il Chapter 11. Per la prima volta si poneva l’accento sulla convenienza della ristrutturazione a fronte dell’approccio tradizionale che vedeva nella liquidazione dell’impresa in crisi e nella distribuzione del ricavato ai creditori l’unica soluzione della crisi d’impresa. La convinzione che la ristrutturazione fa premio sulla liquidazione tutte le volte in cui ciò è possibile è diventata ormai iusreceptum in tutto il mondo e fa parte dei principi generali approvati dall’Uncitral così come di quelli elaborati dalla World Bank. Anche la proposta di Direttiva dell’UE del 22 novembre 2016 afferma questi principi.

Nel 1979 in Italia l’onda lunga del nuovo corso inaugurato dagli Stati Uniti si tradusse in uno strumento particolare, l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, voluta con forza da Romano Prodi, che diede il nome alla legge istitutiva. L’amministrazione straordinaria però era anche erede di una tradizione tutta italiana all’intervento pubblico nell’economia a scopo di salvataggio e risanamento, oltre che di strumento di politica economica. Di ciò ci parlerà Stefano Micossi. Non a caso lo schema giuridico cui si ispirava la legge Prodi era quello della liquidazione coatta amministrativa, già previsto dalla legge fallimentare del 1942 come strumento di soluzione della crisi di taluni tipi d’imprese, sia pur in chiave liquidatoria e non conservativa. La liquidazione coatta era però anche il mezzo con cui venivano liquidati enti non insolventi, ma nella cui gestione si erano riscontrate gravi irregolarità. Era quindi uno strumento tipico d’intervento pubblico nel governo dell’economia. La caratteristica della nuova procedura era di non prevedere le modalità con cui sarebbe dovuto avvenire il recupero e la ristrutturazione delle imprese in crisi. La legge si limitava a disporre la prosecuzione dell’attività, indicando tra gli interessi protetti quello dei creditori, cui però non veniva concesso os ad loquendum né in sede di avvio della procedura né successivamente. I creditori potevano opporsi alla dichiarazione dello stato d’insolvenza o contestare la sussistenza dei requisiti che comportavano l’apertura della nuova procedura invece del fallimento, ma non potevano contestare l’opportunità o convenienza della scelta né potevano opporsi alla progressiva utilizzazione dell’attivo disponibile per proseguire l’attività senza che rimanesse capienza per i loro crediti e senza che i flussi di cassa generati da tale prosecuzione potessero in qualche modo compensarli. Le proteste della dottrina rimasero lettera morta e non miglior sorte ebbe la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino, di cui fui l’estensore. Nella sostanza nel pensiero del legislatore la ristrutturazione era legata al semplice fatto della prosecuzione dell’attività, prosecuzione che era finanziata con l’utilizzo delle risorse aziendali e con finanziamenti che erano coperti dalla garanzia dello Stato. Di fatto l’amministrazione straordinaria si tradusse in un fenomeno di assistenzialismo, diretto più che al recupero delle imprese in crisi al mantenimento dell’occupazione attraverso la conservazione dei posti di lavoro. Le procedure inoltre duravano moltissimo tempo, anche decine di anni, impantanate nei giudizi pendenti ed in altri adempimenti legati alla liquidazione delle imprese. Nel 1999 a seguito [continua..]

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