argomento: Giurisprudenza - DIRITTO TRIBUTARIO
Con sentenza del 27 marzo 2025, n. 36, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4 del D.Lgs. n. 220/2023 – che ha introdotto nell’ambito della disciplina del processo tributario (e, segnatamente, all’art. 58, co. 1, D.Lgs. n. 546/1992) il c.d. “divieto di nuovi documenti in appello” – nella parte in cui prescrive che tale divieto si applica ai giudizi instaurati in secondo grado dal giorno successivo alla sua entrata in vigore, anziché ai giudizi di appello il cui primo grado sia instaurato successivamente all’entrata in vigore del medesimo decreto. A parere della Consulta, “per i processi nei quali, al momento dell’entrata in vigore della novella, siano già decorsi i termini per le produzioni documentali in primo grado, l’immediata efficacia del mutamento normativo determina conseguenze non dissimili da quelle della retroattività impropria, in quanto, frustrando l’aspettativa delle parti che hanno confidato nella possibilità di esercitare il loro diritto alla prova anche in appello, lede il legittimo affidamento”. Con la medesima sentenza, la Corte Costituzionale ha, altresì, dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 58, co. 3, D.Lgs. n. 546/1992, siccome modificato dal D.Lgs. n. 220/2023, nella parte in cui sancisce il divieto assoluto di produrre in appello deleghe, procure e altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti. Secondo i giudici costituzionali, considerato che tale locuzione non comprende solo gli atti di conferimento della rappresentanza sul piano sostanziale, ma anche gli atti costituenti il presupposto della rappresentanza processuale e quelli di designazione del difensore abilitato all’assistenza tecnica in giudizio, l’esclusione di tali atti dalla regola generale della deducibilità in appello nei casi in cui il giudice ne ritenga indispensabile l’acquisizione o ne sia stata impossibile la deduzione in primo grado per causa non imputabile alla parte è manifestamente irragionevole e “travalic[a] il limite all'esercizio della pur ampia discrezionalità riconosciuta al legislatore nella configurazione degli istituti processuali”.
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