Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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Il diritto di recesso ad nutum del socio di s.r.l. è legittimo solo se la società è a tempo indeterminato (di Marta Favaretto, Dottoressa magistrale in Giurisprudenza presso l'Università del Piemonte Orientale)


La Suprema Corte, nell’affrontare il controverso tema della possibilità o meno per i soci di s.r.l. di esercitare il diritto di recesso ad nutum non solo laddove la società sia contratta a tempo indeterminato, ma anche laddove presenti un termine di durata molto lungo condivide, con una serie di argomentazioni, la tesi della prevalenza dell’interpretazione letterale dell'art. 2473 c.c., ritenendo che il diritto di exit ad nutum sorga in capo ai soci delle sole s.r.l. costituite a tempo indeterminato e non anche a tempo determinato, sia pure con un termine di durata cronologicamente lontano.

The right of withdrawal ad nutum of the partner of a limited liability company is legitimate only if the company is of indefinite duration

Supreme Court, in dealing with the controversial issue of whether or not the shareholders of a limited liability company may exercise the right of withdrawal ad nutum not only where the company is contracted for an indefinite period of time, but also where it has a very long duration, shares, with a series of arguments, the thesis of the prevalence of the literal interpretation of Article 2473 of the Civil Code, holding that the right of exit ad nutum arises only for shareholders of limited liability companies established for an indefinite period of time and not also for a fixed term, albeit with a chronologically long term.

1. Il problema e la cornice normativa Il provvedimento in esame si sofferma sul controverso tema del recesso ad nutum per il socio di s.r.l. contratta a tempo determinato che risulta oggetto di ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza: in particolare, si discute sulla possibilità o meno di assimilare un termine di durata particolarmente lungo all’assenza di termine. La questione appare oggi di grande interesse alla luce dei più recenti arresti giurisprudenziali e meritevole di attenzione soprattutto in relazione ad alcuni specifici aspetti che ancora non risultano oggetto di un inquadramento condiviso [1]. Come noto, l’art. 2473, comma 2, c.c. codifica per le s.r.l. la regola in virtù della quale «nel caso di società contratte a tempo indeterminato il diritto di recesso compete al socio in ogni momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno centottanta giorni». Tale norma, che risale alla riforma delle società di capitali del 2003, è apparsa immediatamente lacunosa: la stringatezza [2] della stessa ha, infatti, dato adito ad inevitabili incertezze interpretative. Nello specifico, ci si è interrogati circa la possibilità di estendere il riconoscimento del diritto di exit anche all’ipotesi in cui la durata della società sia sì stata delimitata entro un preciso orizzonte temporale, ma questo sia da considerarsi di gran lunga superiore rispetto alla durata media della vita umana, nonché all’attività concordemente programmata. Ciò, in effetti già accade nel­l’ambito delle società personali – che in qualche misura hanno rappresentato un modello di riferimento per la riforma delle s.r.l. – ove l’art. 2285, comma 1, c.c. espressamente prevede che «ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci». In questo contesto, il provvedimento che si annota si colloca nel solco di quelli che hanno sostenuto la tesi c.d. restrittiva, ritenendo la necessità di aderire ad un’interpretazione strettamente letterale del testo della norma in esame [3]. Merita, dunque, brevemente ripercorrere gli orientamenti che ad oggi si sono sviluppati sulla questione controversa prima di soffermarsi sulle condivisibili argomentazioni della Suprema Corte nel provvedimento che si annota. 2. Un primo orientamento estensivo alla luce dell’art. 2285 c.c. In una prima fase, si era fatta strada l’idea per cui, se è vero che la ratio dell’art. 2473, comma 2, c.c. è ravvisabile nell’esigenza di salvaguardia del principio privatistico di libera recedibilità, ritenuto di ordine pubblico e quindi nel generale sfavore che accompagna nel nostro ordinamento l’assunzione di vincoli perpetui, sussiste certamente la eadem [continua..]

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