Breve panoramica delle posizioni dottrinali e giurisprudenziali in tema di lesioni causate nel compimento dell’attività sportiva: fin dove può spingersi la foga agonistica, senza travalicare nella responsabilità penale? Le chiavi di lettura contenute nel nostro ordinamento, tra consenso scriminante dell’offeso, esercizio di una facoltà legittima ed accettazione del rischio consentito dalle regole del gioco.
The crime of injury in sports: subjective measure of guilt and permissible risk A brief overview of the doctrinal and jurisprudential positions on the subject of injuries caused in a sport performance: how far can the competitivity ardor go, without cutting across criminal liability? The keys to the interpretation included in our legal system, between the justification consent of the injuried party, the scope of a lawful right and the risk acceptance related to the sport game.
1. La natura del delitto di lesioni sportive
L’aspetto problematico dell’attività sportiva consiste nel bilanciamento di un duplice interesse: a) evitare il rischio di “automaticità” tra violazione disciplinare con effetti lesivi ed illecito penale; b) la necessità di non “soffocare” lo spirito agonistico che dà linfa vitale allo sport con la cappa del penalmente rilevante.
Nell’ipotesi di lesioni cagionate nel corso di una competizione sportiva occorre distinguere tre possibili situazioni: a) quella in cui l’agente ha rispettato le regole del gioco o, più in generale, il dovere di lealtà, e in cui la condotta si mantenga entro l’area del rischio consentito, con conseguente piena liceità della sua azione, pur se produttiva di lesioni; b) quella in cui l’agente ha involontariamente violato il regolamento nella propria foga agonistica (in tal caso si configurerà un mero illecito sportivo, sanzionabile secondo le norme regolamentari, ma resterà esclusa la sua responsabilità penale); c) quella in cui l’agente ha violato volontariamente le regole del gioco, disattendendo il proprio dovere di lealtà e ponendosi così fuori dall’area del rischio consentito e quindi fuori dalla scriminante non codificata (in questo caso si profilerà una responsabilità a titolo di colpa o di dolo, a seconda del concreto atteggiamento della volontà colpevole, individuabile attraverso l’esame delle modalità di compimento del fatto).
In tale prospettiva, vanno tenute distinte due situazioni: quella in cui l’agente ha cagionato l’evento lesivo nel contesto di un’azione di gioco lì dove il mancato rispetto delle regole sia stato comunque finalisticamente orientato all’obiettivo agonistico e quella, invece, in cui la competizione sportiva sia stata solo l’occasione di un’azione volta a cagionare la lesione personale, per motivi estranei alla dinamica tecnica della gara (ipotesi quest’ultima dolosa).
Così delineato lo scenario fattuale che può presentarsi all’operatore del diritto, nessuna meraviglia, quindi, se si ritiene necessario individuare – preliminarmente – il criterio di imputazione del profilo soggettivo, doloso o colposo, affermando che esso andrà, poi, agevolmente risolto sulla base del criterio finalistico (applicabile solo in tale limitato ambito), ossia se l’azione violenta, anche se antisportiva – e dunque antidoverosa – sia direttamente funzionale non alla messa in pericolo dell’altrui incolumità, ma al perseguimento dell’obiettivo agonistico, ovvero se sia gratuitamente rivolta alla persona dell’avversario, in forma diretta o intenzionale (con consapevole profittamento della circostanza di gioco) o con mera accettazione preventiva del rischio [continua..]