Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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La clausola di mero gradimento e il diritto di recesso nelle s.r.l.: una questione dibattuta (di Elena Fregonara Professore Associato di Diritto Commerciale presso Università del Piemonte Orientale.)


Il tribunale ambrosiano, nell’affrontare il controverso tema della possibilità o meno per i soci di esercitare il diritto di recesso laddove sia presente nell’atto costitutivo una clausola di mero gradimento, condivide, con una serie di argomentazioni, la tesi della prevalenza dell’interpretazione letterale dell’art. 2469, comma 2, c.c., ri­tenendo che il diritto di exit sorga in capo ai soci di s.r.l. al solo ricorrere della medesima clausola.

The ‘mere’ approval clause and the right of withdrawal in the Limited Company: a controversial issue

The court of Milan deals with the controversial issue related to the right of withdrawal in case the company bylaws include a clause establishing a ‘mere’ approval requirement for the quotas to be transferred: the outcome, based on a literal interpretation of art. 2469, c. 2 of the Civil Code, is that the exit right must be given to shareholders if only this kind of clause is included in the bylaws.

Trib. Milano, Sez. Spec. in materia di impresa,30 dicembre 2019 – Pres. e Rel. Mambriani Il provvedimento che qui si annota si sofferma su di un interessante profilo della disciplina delle clausole di mero gradimento nell’ambito delle società a responsabilità limitata che risulta oggetto di dibattito in dottrina: in particolare, la possibilità, o meno, per i soci di esercitare il diritto di recesso incondizionatamente al solo ricorrere di una clausola di mero gradimento nel­l’atto costitutivo [1]. D’altro canto, si registrano in giurisprudenza pochi prece­denti editi [2]. L’interesse del tema appare, quindi, discendere dalla circostanza che si tratta di una questione ancora “aperta” e dibattuta. L’incertezza è alimentata da una redazione «non impeccabile dei precetti» [3]. In questo senso, il confronto con l’analoga norma inserita nel contesto delle società per azioni chiarisce il problema: mentre l’art. 2355-bis, comma 2, c.c. prevede espressamente che «le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento (…) sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell’acquirente», l’art. 2469, comma 2, c.c. dispone che «qualora l’atto costitutivo (…) subordini il trasferimento [delle partecipazioni] al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, (…), il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’art. 2473» [4]. Alla luce del dato letterale è parso necessario, ad una parte della dottrina, riconoscere sempre il diritto di recesso a tutti i soci per la sola presenza della clausola de qua [5]. In effetti, la lettura del testo del secondo comma dell’art. 2469 c.c. non permette di affermare una necessaria “interdipendenza” tra l’esercizio del diritto di recesso ed il diniego del gradimento ad un trasferimento proposto dal socio: secondo il tribunale ambrosiano «non paiono consentite interpretazioni – fondate su valutazioni extranormative circa l’ampiezza, di fatto ritenuta dall’interprete eccessiva, del diritto riconosciuto dalla legge al socio o circa una riduzione, di fatto ritenuta dall’interprete eccessiva, dell’ambito applicativo delle clausole di gradimento – volte perciò a ridurre, in contrasto con il dettato normativo, l’am­bito del diritto di recesso all’ipotesi di fatto in cui il gradimento sia stato negato». Sempre secondo il tribunale «lo scopo del legislatore è da individuare nello stimolo all’indicazione statutaria di fatti e circostanze oggettive soltanto in presenza delle quali il gradimento possa essere negato, a tutto [continua..]

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