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La responsabilità degli amministratori deleganti nella governance bancaria
Selenia Mirabile, Assegnista di ricerca presso l’Università LUMSA.
1. Il caso
A.P., componente del Consiglio di Amministrazione della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., ha impugnato la sanzione amministrativa irrogata dalla Banca d’Italia per la violazione del dovere di agire informati, vigente in capo agli amministratori privi di deleghe.
In particolare, la Banca d’Italia deduceva che tali violazioni erano state poste in essere da A.P. nell’ambito di un’operazione, denominata “Operazione Fresh”, concernente un prestito ibrido creato per l’acquisizione della Banca Antonveneta S.p.A.
Avverso la delibera della Banca d’Italia che adottava il provvedimento sanzionatorio, A.P. ha proposto ricorso al Tar del Lazio che declinava la giurisdizione in favore del Giudice Ordinario.
A seguito della declaratoria di incompetenza pronunciata dal Tribunale Amministrativo, A.P. ha riassunto il giudizio innanzi la Corte d’Appello di Roma.
Il ricorrente ha dedotto di non aver ricevuto alcuna delega esecutiva e che, in difetto di qualsiasi comunicazione o di altro oggettivo segnale di allarme, egli non fosse stato posto nella condizione di conoscere i fatti da cui scaturivano le violazioni e le omissioni contestate dalla Banca d’Italia.
La Corte d’Appello, respingendo l’opposizione proposta avverso il provvedimento sanzionatorio, ha ritenuto irrilevante, ai fini della responsabilità, la circostanza che l’amministratore non ricoprisse incarichi esecutivi.
La controversia è così giunta all’esame della S.C. che ha ritenuto infondato il ricorso, confermando quanto già stabilito dalla Corte territoriale.
In particolare, la Cassazione ha stabilito che anche in capo ai consiglieri privi di deleghe vige l’obbligo di esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi attraverso un costante flusso informativo. Pertanto, ai sensi dell’art. 2381, sesto comma, c.c., i consiglieri hanno il potere di chiedere agli organi delegati che siano fornite informazioni relative alla gestione della società. La S.C. ha precisato, altresì, che l’art. 2392 c.c. configura una responsabilità degli amministratori privi di deleghe che, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non abbiano fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
2. La delega di funzioni gestorie
Le conclusioni a cui è giunta la S.C., con riferimento alla vicenda in esame, consentono di svolgere alcune considerazioni sulla delega di funzioni gestorie e sulla sua incidenza nell’ambito della governance di una s.p.a.
Ai sensi dell’art. 2381, secondo comma, cod. civ. se «lo statuto o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti» [1].
Lo strumento della delega, dunque, consente di creare ulteriori organi amministrativi all’interno del consiglio di amministrazione: il comitato di esecutivo [2] e gli amministratori delegati [3].
La nomina dell’organo delegato e la determinazione dei suoi poteri spetta inderogabilmente al consiglio di amministrazione (art. 2380 bis c.c.) e non già all’assemblea dei soci.
Ciò in quanto la delega è un atto di gestione e la gestione spetta esclusivamente agli amministratori (art. 2380 bis c.c.) [4].
Pertanto, l’inderogabilità della competenza del consiglio di amministrazione deriva da un principio secondo il quale la delega può essere concessa solo da chi è il dominus della materia deleganda [5].
Al terzo comma dell’art. 2381 c.c., il legislatore ha inteso ripartire in maniera dettagliata e netta la competenza tra consiglio e organi delegati.
La norma citata prevede, in particolare, che «il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega» [6].
Ne discende che l’organo delegato – a differenza del consiglio – non ha poteri originari, bensì poteri derivati e legittimati esclusivamente dal c.d.a.
Per quanto concerne i limiti e il contenuto della delega, il codice individua in negativo le attribuzioni che non possono essere delegate dall’organo collegiale, con la conseguenza che le materie non espressamente elencate possono ritenersi delegabili [7].
Tuttavia, la materia relativa alla delega di funzioni nell’ambito delle società bancarie risente di qualche deroga alle norme di diritto comune.
In particolare, l’attenzione dell’Autorità per la Vigilanza al tema degli amministratori non esecutivi emerge chiaramente con le disposizioni contenute nella Circolare della Banca d’Italia n. 285/2013 [8].
Ferme restando le attribuzioni ex lege non delegabili, la circolare rivisita il tema delle deleghe di gestione all’interno del consiglio di amministrazione conferendo all’organo di supervisione strategica [9] un’impronta quanto mai rilevante nel controllo della società [10].
La valorizzazione dei consiglieri deleganti assumerebbe – secondo quanto disposto dalla Circolare n. 285 – una posizione nevralgica sia con riferimento al loro ruolo [11], che in relazione alla rivisitazione delle dinamiche endoconsiliari.
Pertanto, le disposizioni della Banca d’Italia rivedono ed integrano il dettato codicistico di riferimento ampliando il novero dei «poteri di informazione» degli amministratori deleganti.
Ed infatti la S.C., nel caso in esame, nell’affermare il principio per cui gli amministratori deleganti hanno un costante potere-dovere di controllo attivo sui delegati considera ancor più stringente il «potere di agire informati» in materia di organizzazione e governo societario delle banche. Ciò anche in ragione dell’art. 47 Cost., la cui rilevanza pubblicistica «plasma l’interpretazione delle norme dettate dal codice civile».
A ben vedere, il tema dell’amministrazione – e in particolare degli amministratori non esecutivi – si collega in modo inscindibile alla materia del controllo interno, tanto più ove rapportato agli istituti di credito.
3. Il flusso informativo e il dovere di agire informati degli amministratori non delegati
L’art. 2381, quinto comma, c.c. impone «agli organi delegati, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno semestrale, di riferire al c.d.a. sul generale andamento della gestione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro caratteristiche o dimensioni, effettuate dalla società e dalle sue controllate».
Il flusso informativo indirizzato al plenum non solo deve riguardare la situazione complessiva sociale con riferimento ai risultati economici perseguiti ma, altresì, alla sua prevedibile evoluzione. Ciò implica una valutazione prognostica che «l’organo delegato è tenuto a sottoporre al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, ai quali è rimessa ogni eventuale valutazione finale, nell’ambito delle rispettive competenze e responsabilità [12]».
La rilevanza delle «operazioni di maggior rilievo» va valutata in senso non solo quantitativo ma anche qualitativo. Infatti, occorre far riferimento alle dimensioni ed alle caratteristiche di dette operazioni; ad esempio, se si tratta di operazioni inusuali o atipiche rispetto all’attività normalmente svolta dalla società, ovvero compiute o deliberate da amministratori portatori di un interesse personale [13].
È evidente, dunque, che il dovere di informazione imposto dalla norma a carico degli organi delegati, può ritenersi strumentale all’adempimento delle funzioni del c.d.a.
Sul punto la Banca d’Italia, nelle proprie disposizioni di vigilanza, evidenzia che «la circolazione di informazioni tra gli organi sociali e all’interno degli stessi rappresenta una condizione imprescindibile affinché siano effettivamente realizzati gli obiettivi di efficienza della gestione ed efficacia dei controlli [14]».
Si potrebbe dire che «l’informazione è un trait d’union tra le due anime – gestione diretta e controllo – della funzione amministrativa [15]».
L’essenzialità dell’informazione nell’ambito dell’esercizio dell’attività di gestione è sancita dall’ultimo comma dell’art. 2381 c.c., in forza del quale «gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato».
Strumentale all’assolvimento di tale dovere è il potere riconosciuto in capo a ciascun amministratore di chiedere agli organi delegati che, in consiglio, siano fornite informazioni relative alla gestione della società [16].
Ciò vuol dire che gli amministratori non delegati, nello svolgimento delle loro funzioni, non dovranno esclusivamente basarsi sulle informazioni ricevute in consiglio e sulla relazione degli organi delegati. Ed infatti, in presenza di segnali di allarme, di anomalie, di carenze logiche hanno l’obbligo di chiedere informazioni e chiarimenti [17].
La Circolare n. 285, già richiamata, prevede un netto accrescimento degli strumenti di informazione attribuiti agli amministratori non esecutivi, ai quali viene imposto di «acquisire, avvalendosi dei comitati interni, ove presenti, informazioni sulla gestione e sull’organizzazione aziendale dal management, dalla revisione interna e dalle altre funzioni aziendali di controllo» [18].
Tale previsione, sebbene in parte condivisibile in quanto diretta a scongiurare una de-responsabilizzazione degli amministratori non esecutivi, comporta una configurazione di un vero e proprio potere-dovere informativo rafforzato.
Ciò implica, inevitabilmente, un «conseguente innalzamento della diligenza professionale loro richiesta e correlate ricadute sul piano della responsabilità, a tal punto ampliata da risultare finanche ‘appiattita’ su quella dei delegati» [19].
Sul punto, con la pronuncia in esame, la S.C. ha confermato il netto rafforzamento della posizione degli amministratori non esecutivi.
In materia di società bancarie – secondo l’orientamento espresso dai giudici di legittimità – il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi non è rimesso esclusivamente alle segnalazioni provenienti dagli amministratori delegati attraverso i rapporti dei quali la legge onera questi ultimi.
Ciò in quanto «anche gli amministratori non esecutivi devono possedere ed esprimere una costante ed adeguata conoscenza del business bancario» ed essendo compartecipi delle decisioni assunte dall’intero consiglio, hanno altresì l’obbligo di assicurare un governo efficace dei rischi in tutte le aree della banca.
Devono, inoltre, attivarsi in modo da poter utilmente ed efficacemente esercitare una funzione dialettica e di monitoraggio sulle scelte compiute degli organi esecutivi attraverso un costante flusso informativo [20].
A ben vedere, un ulteriore dato che si riscontra con estrema evidenza è la presenza di un’architettura – tracciata dalla normativa regolatoria della Banca d’Italia – certamente volta a richiedere un maggiore impegno, nella fase di vigilanza, all’amministratore delegante ponendosi, in tal modo, in contrasto con la disciplina codicistica di riferimento.
4. I criteri di valutazione della diligenza dell’amministratore
In via ulteriore, gli amministratori devono adempiere alle proprie funzioni e ai propri doveri con la diligenza richiesta dalla «natura dell’incarico» e dalle loro «specifiche competenze» (art. 2392, primo comma, c.c.) [21].
Rapportare la diligenza alla “natura dell’incarico” significa contestualizzare la responsabilità dell’amministratore non già in riferimento alla natura dell’attività esercitata, quanto alla posizione assunta nell’ambito dell’organo collegiale [22].
Nella valutazione della diligenza, oltre al parametro oggettivo individuato dalla natura dell’incarico, il legislatore inserisce un ulteriore criterio di carattere soggettivo: le “specifiche competenze”.
Tale parametro fa riferimento alle conoscenze, abilità, competenze tecniche e professionali dell’amministratore aventi diretta incidenza sull’esecuzione dell’incarico conferitogli.
Il riferimento alle specifiche competenze dell’amministratore di cui all’art. 2392 c.c., induce ad una graduazione della responsabilità, in quanto verrà applicato un metro di valutazione della condotta più rigoroso nei confronti di chi sia stato scelto in ragione della elevata professionalità in uno dei settori in cui si articola l’amministrazione [23].
Le scelte inopportune e gli errori saranno rilevanti solo nel caso in cui si possa presumere l’esistenza di una violazione dell’obbligo di diligenza o dell’obbligo di non agire in conflitto d’interessi, in virtù del principio secondo cui gli amministratori non rispondono per l’insuccesso della società [24].
Sul punto, tornando alla fattispecie in esame, la S.C. ha ritenuto che la responsabilità degli amministratori privi di deleghe deve riconnettersi alla violazione del dovere di agire informati.
Pertanto, gli amministratori non esecutivi rispondono delle conseguenze dannose della condotta degli amministratori delegati qualora siano a conoscenza di fatti tali da sollecitare il loro intervento, ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati [25].
Ed infatti, doveva essere individuato come sintomo di anomalia proprio il carattere eccessivamente sintetico delle comunicazioni provenienti dagli organi delegati che non permettevano la corretta ricostruzione societaria e contabile dell’operazione.
In conclusione, secondo il ragionamento seguito dalla S.C., gli amministratori non delegati rispondono per non aver impedito fatti pregiudizievoli dei quali o abbiano acquisito in positivo conoscenza – per effetto delle comunicazioni ricevute dai delegati – ovvero dei quali debbano acquisire conoscenza, di propria iniziativa, secondo la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze [26].
5. La Business Judgement Rule nel panorama giurisprudenziale italiano
Tra i temi più discussi in dottrina e giurisprudenza vi è quello della sindacabilità nel merito delle scelte gestionali dell’amministratore.
In particolare, è con il termine Business Judgement rule che si fa riferimento al principio dell’insindacabilità del merito delle scelte gestionali.
La locuzione, che nasce dall’esperienza statunitense, comincia a prendere piede nella dottrina italiana a partire dalla fine degli anni sessanta.
In particolare, il principio dell’insindacabilità nel merito delle scelte di gestione trova riconoscimento in maniera esplicita in una nota sentenza della Corte di Cassazione del 1965.
Tale pronuncia affermava che «il giudice investito dell’esame di un’azione sociale di responsabilità non può sindacare il merito degli atti o dei fatti compiuti dagli amministratori e dai sindaci nell’esercizio del loro ufficio poiché, in tal modo, sostituirebbe ex post il proprio apprezzamento soggettivo a quello espresso o attuato dall’organo all’uopo legittimato». Piuttosto, deve accertare e valutare se gli amministratori abbiano violato l’obbligo di adempiere ai doveri ad essi imposti dalla legge o dall’atto costitutivo.
Nel 1997, la Corte di Cassazione [27] individuò i parametri in base ai quali valutare la responsabilità degli amministratori. La pronuncia faceva riferimento alle «violazioni di obblighi giuridici» ed alla «omissione da parte dell’amministratore» di quelle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel genere.
Secondo la Corte, occorreva prendere in considerazione – mediante un giudizio ex ante – se la condotta tenuta dagli amministratori poteva configurare una violazione dell’obbligo di adempiere con diligenza il mandato di amministrazione comportando, in tal modo, una responsabilità contrattuale dell’amministratore verso la società. Nel 2004, si aggiunge un nuovo tassello al percorso fin qui seguito dai giudici di legittimità.
Con la pronuncia 23 marzo 2004, n. 578, la Corte di Cassazione stabiliva che se il giudice non può sindacare la scelta in sé deve però controllare il percorso attraverso il quale essa è stata preferita.
Pertanto, se la scelta tra il compiere o meno un atto di gestione non è suscettibile di essere apprezzata in termini di responsabilità giuridica, al contrario la responsabilità può derivare dall’eventuale omissione, da parte dell’amministratore, di tutte quelle cautele, verifiche o di quelle informazioni preventive che dovrebbero normalmente essere richieste prima di procedere a quel tipo di scelta decisoria [28].
È opportuno precisare, tra l’altro, che i giudici di merito e di legittimità [29] hanno stabilito un importante limite al criterio di insindacabilità delle scelte di gestione. Esso si riscontra ogni qualvolta gli amministratori abbiano agito in modo assolutamente irragionevole e quindi non giustificabile.
Alla luce dell’analisi fin qui svolta, non v’è dubbio che il principio della Business Judgement rule, pur in assenza di una espressa formulazione normativa, sia pienamente applicabile nell’ordinamento italiano. Pertanto, pur con le ineliminabili incertezze che i casi concreti recano con sé, le sentenze di condanna per mala gestio dovrebbero trovare fondamento in errori di gestione frutto di inosservanza di procedure, protocolli, sistemi informativi adeguati e/o nella insufficiente valutazione e ponderazione delle informazioni all’uopo acquisite [30], così come accaduto nel caso in esame.
6. La responsabilità degli amministratori deleganti e il dovere di intervento
Il secondo comma dell’art. 2392 c.c. impone un vincolo di solidarietà passiva a carico degli amministratori che essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli – causati dagli organi delegati nell’esercizio delle loro funzioni – non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento nonché eliminarne o, ancora, attenuarne le conseguenze dannose (c.d. dovere di intervento) [31].
La responsabilità a carico degli amministratori, in tal caso, è di tipo omissivo.
Saranno responsabili per essersi astenuti da un intervento correttivo o impeditivo di atti pregiudizievoli degli amministratori delegati, oppure per non aver posto in essere gli interventi idonei ad eliminare o attenuare gli effetti degli atti pregiudizievoli [32]. «Condizioni di questa responsabilità sono la conoscenza dell’atto pregiudizievole in fase di commissione o già commesso ed il potere di intervento» [33].
In tal senso, nel caso in commento, la S.C. ha rilevato che ai fini del contenimento del rischio creditizio nonché dell’organizzazione societaria e dei controlli interni, le disposizioni attuative dettate con le Istruzioni di vigilanza per le banche, sanciscono precisi doveri in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie. Alla luce di tali disposizioni, anche i consiglieri non esecutivi sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, rispondono del mancato attivarsi al fine di impedire o ostacolare l’accadimento dannoso. Ne consegue che, in caso di irrogazione di sanzioni amministrative, la Banca d’Italia – anche in virtù della presunzione di colpa vigente in materia – ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi ad esigere un supplemento di informazioni o attivarsi. Secondo la Corte, tale sintomo di anomalia doveva essere individuato nel carattere eccessivamente sintetico delle comunicazioni provenienti dagli organi delegati [34].
In tal caso, il singolo amministratore non esecutivo dovrà riferire la riscontrata irregolarità all’organo collegiale sollecitando il relativo intervento [35].
7. Conclusioni
Le disposizioni in materia di governance bancaria contenute nella Circolare n. 285 e, in particolare, nelle disposizioni su “Il Governo societario” (Titolo IV), hanno il pregio dell’analiticità, della ricerca mirata ad individuare regole di corporate governance efficienti, efficaci e coordinate.
Tuttavia, una rigida applicazione delle disposizioni di vigilanza finirebbe per avere esiti rischiosi.
Tale risvolto sembra essersi concretizzato con la sentenza in commento.
La pronuncia, infatti, si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che, proprio con riferimento alle sanzioni di Bankitalia, sembra aver posto in discussione il principio della netta distinzione di poteri e quindi di responsabilità, tra amministratori senza deleghe e amministratori esecutivi.
A ben vedere, la Cassazione sembra appiattire le responsabilità dei non esecutivi su quelle dei delegati in ragione della funzione strategica.
L’art. 2381 c.c. ha chiarito inequivocabilmente che il consigliere senza deleghe non ha poteri ispettivi (art. 2381, sesto comma, c.c.) e pertanto può soltanto in consiglio chiedere informazioni, valutando la gestione soltanto sulla base delle informazioni ricevute [36]. «Egli deve agire informato e non può certamente adagiarsi in recezione passiva ma non ha e non può avere il rapporto diretto con l’operatività aziendale e il dialogo diretto con la struttura che solo agli esecutivi compete e che fonda, dunque, una loro individuale e specifica responsabilità» [37].
Un sistema chiarificatore, voluto dal legislatore della riforma, che nessuna normativa secondaria può modificare e che non può non riflettersi anche sul piano sanzionatorio.
NOTE
[1] Cfr. Relazione al d.lgs. n. 6/2003 § 6, III, 2: «L’amministrazione delle società continua a poter essere affidata ad un amministratore unico oppure ad un consiglio di amministrazione. In quest’ultimo caso il maggior «costo» della collegialità è compensato da un’effettiva partecipazione di tutti i consiglieri alla gestione della società. a tale fine sono state aumentate le attribuzioni non delegabili (art. 2381, 3° e 4° comma); è stato previsto un ampio e periodico obbligo informativo degli organi delegati al consiglio e al collegio sindacale sulle operazioni più rilevanti per dimensioni o caratteristiche (anche qualitative, quali ad esempio operazioni atipiche, inusuali o compiute o deliberate da amministratori interessati), ed esteso anche alla gestione delle controllate (art.2381, quinto comma); e si è disposto che gli amministratori debbano agire in modo informato ed abbiano correlativamente un diritto individuale all’informazione cui gli organi delegati devono far fronte riferendo al consiglio (art. 2381, ult. comma)».
[2] Il comitato esecutivo esercita le sue funzioni secondo il metodo collegiale ed è retto dalle regole fissate nello statuto o, per analogia, da quelle sul consiglio di amministrazione.
[3] Ferrucci-Ferrentino, Società di capitali, società cooperative e mutue assicuratrici, cit. 65, Collana Notarile Guido Capozzi, Milano, 2012, il quale evidenzia che «gli amministratori delegati svincolati dal metodo collegiale, possono agire disgiuntamente o congiuntamente, secondo quanto previsto dallo statuto o dall’atto di nomina».
[4] Un amministratore delegato inadeguato allo svolgimento delle sue funzioni o inaffidabile finirebbe per determinare un aggravio di responsabilità in capo al consiglio, pertanto non può che ritenersi logico lasciare il compito della scelta al c.d.a., Inoltre, l’art. 2381 c.c. prevede in capo al consiglio un potere di sovraordinazione rispetto agli organi delegati e concedere all’assemblea il potere di disporre la delega finirebbe col contraddire la ratio della disposizione normativa appena citata. In dottrina, sull’argomento v. Bonelli, Gli amministratori di S.p.A. a dieci anni dalla riforma del 2003, cit., 90, 2013.
[5] Mollo, Il sistema di gestione informata nella S.p.A. e le responsabilità degli amministratori deleganti, cit., 6, Torino, 2013.
[6] Sul punto, una parte della dottrina ha ritenuto che la scelta di rimettere al c.d.a. la determinazione del contenuto, nonché dei limiti della delega, non parrebbe idonea a scongiurare il pericolo di un’eccessiva concentrazione di potere in capo agli organi delegati. Secondo tale impostazione, la delega di funzioni attribuita ad un comitato esecutivo o ad uno o più amministratori delegati se da un lato consente di rendere più razionale ed efficiente il funzionamento dell’organo direttivo, dall’altro comporta inevitabilmente una concentrazione di potere in capo agli organi delegati, finendo così per svuotare il consiglio di tutte le sue funzioni. In particolare, v. Maffei Alberti, Le deleghe di funzioni, in Commentario breve al diritto delle società, cit., 636, Padova, 2015. Di contro, altra parte della dottrina, ritiene che il consiglio – malgrado la delega – non si spoglia dei suoi poteri ma conserva una competenza concorrente ad amministrare, competenza che rimane inalterata e comunque sovraordinata a quella degli organi delegati, ai quali può sempre impartire direttive e avocare a sé operazioni rientranti nella delega, nonché sostituirsi nel compimento di atti inerenti alle funzioni delegate così come disposto dall’art. 2381, terzo comma, c.c. In tal senso, Bonelli, Gli amministratori di S.p.A. a dieci anni dalla riforma, cit.; Ferrucci-Ferrentino, Società di capitali, società cooperative e mutue assicuratrici, cit.
[7] In particolare, è stata sancita indelegabilità delle seguenti attribuzioni: la redazione del bilancio di esercizio, la facoltà di aumentare il capitale sociale ed emettere obbligazioni convertibili per delega, gli adempimenti posti a carico degli amministratori in caso di riduzione obbligatoria del capitale sociale per perdite e la redazione del progetto di fusione e di scissione. In questi termini cfr. Cfr. Maffei Alberti, Le deleghe di funzioni, cit.
[8] Tra gli interventi dell’Autorità di vigilanza va annoverata la Circolare della Banca d’Italia 17 dicembre 2013, n. 285, intitolata “Disposizioni di vigilanza per le banche”, s.m.i.
[9] Cfr. Circolare n. 285/2013, Parte prima. IV.1.4., secondo cui l’organo con funzione di supervisione strategica è definito nella Circolare n. 285/2013 come quello in cui «si concentrano le funzioni di indirizzo e/o di supervisione della gestione sociale (ad esempio, mediante delibera in ordine ai piani industriali o finanziari ovvero alle operazioni strategiche della società)». Pertanto, nell’ambito del sistema tradizionale e del sistema monistico è indubbio che le relative disposizioni abbiano come referente il consiglio di amministrazione e vadano, dunque, a innestarsi sulla relativa disciplina.
[10] Da notare, infatti, la centralità dell’organo con funzione di supervisione strategica nelle dinamiche di controllo interno stante che a questo è assegnato il compito di definire ed approvare. Il modello di business della banca, avendo consapevolezza dei rischi cui tale modello espone la banca stessa e comprensione delle modalità attraverso le quali i rischi sono rilevati e valutati: gli indirizzi strategici; gli obiettivi di rischio, la soglia di tolleranza (ove identificata) e le politiche di governo dei rischi; le linee di indirizzo del sistema dei controlli interni, nonché i criteri per individuare le operazioni di maggiore rilievo da sottoporre al vaglio preventivo della funzione di controllo dei rischi. Sempre all’organo di supervisione strategica è inoltre chiesto di approvare: la costituzione delle funzioni aziendali di controllo; i relativi compiti e responsabilità; le modalità di coordinamento e collaborazione; i flussi informativi tra tali funzioni e tra queste e gli organi aziendali; il processo di gestione del rischio, valutandone la compatibilità con gli indirizzi strategici e le politiche di governo dei rischi; le politiche e i processi di valutazione delle attività aziendali e, in particolare, degli strumenti finanziari, verificandone la costante adeguatezza; il processo per lo sviluppo e la convalida dei sistemi interni di misurazione dei rischi non utilizzati a fini regolamentari. Sul punto, v. Circolare n. 285, Parte Prima. IV.3.9.
[11] In relazione ai quali gli amministratori non esecutivi finirebbero per ricoprire un vero e proprio ruolo attivo, in parte paragonabile a quello ricoperto, nelle società di diritto comune, dai consiglieri cui vengono conferite deleghe gestorie.
[12] Maffei Alberti, Le deleghe di funzioni, cit. 683.
[13] Maffei Alberti, op. ult. cit.
[14] V. Disposizioni della Banca d’Italia del 4 marzo 2008, cit. par. 5 (principi generali).
[15] Zanardo, Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nelle società per azioni, cit., 105, serie diretta da Galgano, Padova, 2010.
[16] Abbadessa, Profili topici della nuova disciplina della delega amministrativa, cit., 506, in Abbadessa-Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Assemblea e amministrazione, Torino, 2006.
[17] Il dovere di informarsi scatta in presenza di segnali d’allarme, cioè di anomalie della gestione, della organizzazione o della documentazione sociale che facciano sorgere il sospetto che è stato compiuto – o che possa compiersi – un fatto o un atto illecito dannoso per la società. Ci si interroga se ed in che termini l’amministratore non esecutivo possa acquisire le informazioni direttamente, fuori dal consiglio, richiedendo informazioni ai dirigenti o, ancora, effettuando ispezioni presso le strutture aziendali. Secondo un primo orientamento, condiviso anche dalla Suprema Corte (cfr. Cass., 19 giugno 2007, 23838), il singolo amministratore non può esercitare un autonomo potere d’indagine, ma le informazioni possono essere acquisite solo in sede collegiale (art. 2381, sesto comma, c.c.). Per un inquadramento della questione v. Calvosa, Sui poteri individuali dell’amministratore nel consiglio di amministrazione di società per azioni, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 356. l’A., a p. 361 ss., richiama, tra i sostenitori della necessaria collegialità del potere ispettivo degli amministratori Angelici, Diligentia quam in suis e business judgement rule, in Riv. dir. comm., 2006, 692, secondo cui «vi è anche da notare che, quantomeno con riferimento al singolo componente dell’organo amministrativo, la legge fornisce indicazioni in merito al procedimento mediante il quale può (ed allora:deve) acquisire informazioni. dispone infatti l’ultimo comma dell’art. 2381 c.c. che “ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che siano fornite informazioni relative alla gestione della società”. Ne risultano due indicazioni: che al singolo amministratore non è riconosciuto un autonomo potere (e correlativo dovere) individuale di indagine, ma le informazioni di cui abbisogna possono essere acquisite soltanto nell’ambito dell’organo collegiale. E che tali informazioni non sono da egli direttamente acquisite, bensì a lui fornite, gli pervengono quindi da altri» – nonché Centonze, Il concorso mediante omissione degli amministratori senza delega nei reati posti in essere dagli amministratori delegati, in Riv. soc., 2007, p. 751, che evidenzia come nella nuova disciplina venga stabilito «il divieto, per gli amministratori, di esercitare poteri individuali extraconsiliari di informazione o di ispezione dal momento che nella fase di ricezione di rapporti informativi degli esecutivi i singoli deleganti hanno, per legge, solo il potere, funzionale all’esercizio del dovere di valutare, di “chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”(art. 2381, ultimo comma)». Quanto ai poteri dei singoli amministratori v. Bonelli, Gli amministratori di S.p.A. a dieci anni dalla riforma del 2003, cit.
Un secondo orientamento ritiene, invece, che sussiste per gli amministratori non esecutivi il potere individuale di informazione sulla gestione della società, salvo poi la competenza esclusiva del consiglio di assumere decisioni che le informazioni raccolte impongono o consigliano. In tal senso, Salafia, Gli amministratori senza deleghe tra vecchio e nuovo diritto societario, in Società, 2006, 293; Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, a cura di Campobasso, 2010, cit., 371, secondo cui l’attività di vigilanza spetta «oltre che al singolo consiglio collegialmente, anche al singolo amministratore individualmente. E ciò in quanto il singolo amministratore è in ogni caso personalmente e solidalmente responsabile dei danni che alla società possono derivare dell’omessa vigilanza. Più esattamente, ogni amministratore può esaminare e controllare i documenti sociali, può compiere atti di ispezione, nonché, se vi sono amministratori con funzioni delegate, chiedere a questi ultimi che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società». Da registrare, poi, l’opinione di Barachini, La gestione delegata nella società per azioni, 157, Torino, 2008, secondo il quale il diritto d’informazione «può essere esercitato autonomamente in tutti i casi ciò non comporti l’insorgere di un corrispondente dovere di informazione dei delegati» ponendosi la norma quale «limite per i delegati e non per i deleganti: e ciò nel senso che si è inteso disciplinare non già i canali con cui i deleganti sono autorizzati alle informazioni, quanto invece i criteri mediante i quali i delegati devono provvedere a rendere le informazioni richieste». In questa prospettiva, se l’amministratore non delegato dovesse ritenere utile richiedere delle informazioni riguardo l’operato di un amministratore esecutivo, «dovrà comunque invitarlo a riferire in consiglio ed, in quella sede, quel dubbio potrà essere esaminato e valutato in una dialettica nella quale potrà essere coinvolto anche il membro delegato», così Mollo, Il sistema di gestione informata nella S.p.A. e le responsabilità degli amministratori deleganti, cit. 73.
[18] V. Circolare n. 285/2013, Parte Prima.IV.1.18.
[19] Riganti, Gli amministratori «non esecutivi» nella governance delle banche, cit., 22, in Il diritto commerciale verso il 2020: i grandi dibattiti in corso, i grandi cantieri aperti, VIII Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Professori Universitari di Diritto Commerciale «Orizzonti del Diritto Commerciale».
[20] Oltre alla pronuncia in esame, v. in tal senso, Cass., 9 gennaio 2013, n. 319; Cass., Sez. II, 5 febbraio 2013, n.2737; Cass., Sez. II, 24 febbraio 2016, n. 3656; Cass., Sez. II, 5 agosto 2016, n. 16587).
[21] La norma attuale ancora lo standard alla «diligenza richiesta dalla natura dell’incarico» e cioè alla diligenza professionale da valutarsi, come stabilito dall’art. 1176, secondo comma, c.c. «con riguardo alla natura dell’attività esercitata».
[22] Pertanto, nel processo di ricostruzione del grado di diligenza richiesto al singolo amministratore, occorrerà considerare la tipologia di incarico che ricopre (amministratore con funzione di presidente, con delega, con delega componente di un organismo collettivo o non titolare di particolari incarichi).
[23] In tal modo, si consente al giudice di stabilire quale sia la diligenza normalmente richiesta in una data situazione, al tipo di qualità tecnico-professionali che l’amministratore, in concreto, possiede.
[24] Un eventuale giudizio sulla condotta dell’amministratore atterrà, più che altro, sulle modalità con cui ha operato delle scelte, avvalendosi delle proprie capacità e conoscenze, «non anche un giudizio sulla condivisibilità della decisione in sé», così Zanardo, Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nelle società per azioni, cit., 194, Milano, 2010.
[25] Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, nonché secondo la pronuncia in esame, ciascun consigliere non munito di deleghe è obbligato a chiedere maggiori informazioni sulla vicenda, senza acquietarsi di fronte alle omissive informative dei vertici della banca.
[26] Non è un caso, in quest’ottica che sia rivolta una particolare attenzione alla componente non esecutiva per la quale è considerato fondamentale che collettivamente possegga ed esprima adeguata conoscenza del business bancario, delle dinamiche del sistema economico e finanziario, della regolamentazione bancaria e finanziaria e, soprattutto, delle metodologie di gestione e controllo dei rischi, in quanto si tratta di “conoscenze essenziali per l’efficace svolgimento dei compiti loro richiesti”. Per un approfondimento v. Circolare 285/2013 Parte Prima.IV.1.16.
[27] Cfr. Cass., 28 aprile 1997, n. 3652.
[28] A ben vedere, la valutazione del comportamento degli amministratori non attiene più in modo diretto ed immediato al risultato da conseguire, quanto al «metodo adottato per tale scelta, per la scelta cioè di quale equilibrio realizzare fra gli interessi rilevanti nel contesto imprenditoriale in cui deve essere compiuta», così Angelici, Interesse sociale e business judgement rule, cit. 573, in Riv. dir. comm., 2012.
[29] Cfr. Trib. Milano, 26 giugno 1989, in Società, 1989 ed in Giur. comm., 1990, II, 122; Trib. Milano, 2 marzo 1995, in Società, 1996, 57, con nota di Morelli; Trib. Milano, 10 febbraio 2000, in Giur. comm., 2001, II, 326, con nota di Tina; Cass. 23 marzo 2004, n. 5718, in Giust. civ. mass., 2004, 3; Trib. Milano, 10 giugno 2004, Dir. prat. soc., 2005, 6,80 e in Giust. mil., 2004, p. 53; Cass., 10 febbraio 2013, n. 3409, in Società, 2013, 461; Trib. Bologna, 14 gennaio 2015, in Foro pad., 2015, p. 463, con nota di Scotti Camuzzi; Cass. 2 febbraio 2015, n. 1783, in Società, 2015, 1317 con nota di Lopez.
[30] Zanardo, Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nelle società per azioni, cit., 249.
[31] Mollo, Il sistema di gestione informata nella S.p.A. e le responsabilità degli amministratori deleganti, cit., 150; v. anche, Nazzicone, Sub art. 2392, cit., 190, in Società per azioni amministrazione e controlli, in Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Milano, 2003, “Resta fermo, in definitiva, che il compimento dell’atto dannoso da parte dell’organo delegato può essere imputato anche al delegante, esclusivamente nel caso in cui esista un qualsiasi concorso di questi all’evento mediante la sua condotta individuale: per aver attivamente partecipato all’atto, per aver omesso di impedirlo allorché egli potesse utilmente attivarsi o per aver omesso, ove possibile, di ridurre o eliminare le conseguenze dannose”.
[32] Salafia, Amministratori senza deleghe fra vecchio e nuovo diritto societario, cit., 294.
[33] Salafia, op.ult. cit., 294.
[34] Sulla questione, una parte della dottrina ha affermato che «poiché la conoscenza dei fatti della gestione da parte dell’amministratore non operativo è collegata al suo potere ispettivo e informativo, una colpa di essa potrà ravvisarsi solo se egli si sia astenuto dall’approfondire l’indagine relativamente a fatti in cui il rischio sia stato già palesato, per esempio in seno ad indagini preventive fatte svolgere dal delegato e non sia stato adeguatamente valutato, a causa di negligenza o imperizia»; sul punto, v. Salafia, Amministratori senza deleghe fra vecchio e nuovo diritto societario, cit., 294.
Tuttavia, a conclusioni diverse è giunto un altro filone dottrinario che, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che «la riforma abbia eliminato il dovere generale di vigilanza e che esistano dei limiti al dovere di agire informato»; così Mollo, Il sistema di gestione informata nella S.p.A. e le responsabilità degli amministratori deleganti, cit., 152.
Secondo tale impostazione, l’inciso «fermo quanto disposto dal 3° comma dell’art. 2381, contenuto nel 2° comma dell’art. 2392, costituisce un filtro tra atti di gestione e amministratori non esecutivi […] che fa sì che la conoscenza di fatti pregiudizievoli sia per lo più destinata ad essere ottenuta tramite le informazioni date (se date) al consiglio dal comitato esecutivo stesso (o dall’amministratore delegato) che li avrebbe posti in essere», Ferrara Jr.-Corsi, Gli imprenditori e le società, cit., Milano, 2009, 294.
[35] Mollo, Il sistema di gestione informata nella S.p.A. e le responsabilità degli amministratori deleganti, cit., 153.
[36] In tal senso, Cass., 31 agosto 2016, n. 17441, in Giur. it., 2017, con nota di Cagnasso e Riganti.
[37] Montalenti, Amministrazione e controllo nelle società per azioni tra codice civile e ordinamento bancario, in Banca e borsa, cit., 736; sul punto, v. anche Riganti, Gli amministratori «non esecutivi» nella governance delle banche.