Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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L'obbligo di attivazione in caso di crisi o di perdita della continuità aziendale (di Oreste Cagnasso, Professore emerito di Diritto commerciale presso l’Università di Torino.)


Lo scritto analizza l’obbligo degli amministratori di attivazione in caso di crisi e insolvenza, contrapponendolo rispetto a quello di intervento e qualificandolo come competenza esclusiva dell’organo amministrativo.

The Directors’activation obligation in case of company crisis or of going concern loss

The paper analises the directors’ obligation to activate themselves in case of crisis et insolvency. So doing, it juxtaposes such obligation to the duty of intervention and qualifies the former as exclusive competence of the management body.

Keywords: crisis – directors – activation.

1. Premessa Come è noto, il secondo comma dell’art. 2086 c.c., nell’attuale formulazione, prevede il dovere per l’imprenditore in forma societaria o collettiva di «attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale». Come osserva l’Autore a cui è dedicato il presente scritto, tale norma «pone numerosi problemi, che il nuovo testo non affronta minimamente. In primo luogo andrebbe chiarito il ruolo dei soci, considerato che, molto spesso, il recupero della continuità aziendale si consegue, pur nell’ambito di iniziative di riconversione strategica, con l’immissione di nuove risorse finanziarie da parte dei proprietari dell’impresa, nelle forme dell’aumento di capitale, o diversamente a fondo perduto. Senza dire che, in condizioni di declino, i soci potrebbero (legittimamente) preferire la liquidazione ordinaria della società laddove l’impresa fosse ancora in bonis o l’accesso ad una procedura concorsuale liquidatoria. La nuova normativa, tuttavia, pare trascurare questo non secondario profilo (non vi è alcun cenno a decisioni dei soci, assembleari o meno) e verosimilmente rimette ogni iniziativa agli amministratori, sui quali l’obbligo in esame pare gravare in via esclusiva (con le conseguenti responsabilità in caso di inadempimento). Nulla si dice di un possibile (ma tutt’altro che improbabile) conflitto tra amministratori e soci in ordine alle decisioni da prendere nelle situazioni indicate e di come esso possa essere risolto» [1]. Tali riflessioni individuano con molta chiarezza i profili problematici che la norma pone al­l’interprete. Al fine di tentare di sciogliere qualche nodo mi sembrerebbe opportuno distinguere, seguendo il testo della disposizione, tra l’attivazione, l’adozione e l’attuazione degli interventi per fronteggiare la crisi. Mi pare altresì opportuno prendere le mosse da un confronto tra l’art. 3 del Codice della crisi e il secondo comma dell’art. 2086 c.c. L’art. 3 del Codice della crisi, inserito nel capo dedicato ai principi generali, indica i doveri del debitore. In realtà, al di là della rubrica, la norma si riferisce esclusivamente agli imprenditori, e, più precisamente, a quelli individuali e collettivi. Il richiamo generico al debitore trova forse una giustificazione dal momento che l’ambito di applicazione del Codice riguarda in genere il debitore, sia esso consumatore o professionista, ovvero imprenditore che eserciti, an­che non a fini di lucro, un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica, o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello [continua..]

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