Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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Finanziamento dell'impresa in stato di decozione e contrarietà al buon costume (di Mario Paccoia, Professore a contratto di diritto privato nell’Università degli Studi Milano-Bicocca.)


Il presente lavoro, partendo da una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (ord. 5 agosto 2020, n.16706), si propone di apportare un contributo allo studio dell’art.2035 c.c. in tema di irripetibilità della prestazione contraria al buon costume, con specifico riguardo al caso in cui la prestazione di cui viene domandata in giudizio la ripetizione abbia avuto l’effetto di finanziare in maniera anomala una società in stato di dissesto, consentendone una permanenza artificiosa sul mercato con pregiudizio degli interessi dei creditori.

Corporate financing in a state of insolvency and contrariety to good morals

The present work, taking a cue from a recent ruling of the Supreme Court of Cassation (ord. august 5th, 2020, n.16706), seeks to make a contribution towards the study of article 2035 c.c. in reference to the denial of restitution of a performance contrary to good morals. Specific attention will be devoted to the case in which the performance, with respect to which restitution is requested in court, has had the effect of financing in an anomalous manner a distressed company, thus allowing for a contrived permanence of such firm on the market with a prejudice to creditors’ interests.

Keywords: performance contrary to good morals – recovery of undue payments – corporate financing – prejudice creditors interests.

 

1. Casus decisus La fattispecie portata all’attenzione della Suprema Corte vede protagonista una società che, asserendo di vantare un ingente credito a titolo di «pagamenti anticipati in conto di future forniture» nei confronti di un fallimento, ha visto rigettata l’opposizione allo stato passivo sul presupposto che le somme erogate all’impresa in stato di decozione non fossero ripetibili ai sensi dell’art. 2035 c.c. in quanto prestazioni contrarie al buon costume. Dalla lettura della decisione in commento è possibile evincere che il Tribunale di Salerno, investito della questione a seguito del rigetto dell’opposizione ex art. 98 l. f. proposta dall’asserita creditrice, ha ritenuto che il contratto di fornitura inter partes aveva, in verità, «l’unico scopo di finanziare, ma in modo anomalo» la società in dissesto. In particolare, in forza della premessa per cui la domanda di ammissione allo stato passivo era fondata su una ricognizione di debito e sulla deduzione di un titolo negoziale (contratto di fornitura) risolto consensualmente per mancata esecuzione delle prestazioni, nell’ordine il Tribunale ha rilevato che: a) la somma richiesta corrispondeva a forniture non solo non eseguite ma neppure pattuite (a differenza di quanto accaduto nei precedenti rapporti tra le medesime parti); b) il contratto di fornitura dissimulava, in realtà, un finanziamento illecito inserito in una complessa operazione volta all’acquisizione del capitale della fallita; c) in particolare, lo scopo delle erogazioni in favore della società, illo tempore in bonis ma sostanzialmente già in stato di decozione, era quello di consentire alla stessa una «permanenza artificiosa sul mercato», con ritardo del­l’emersione dell’insolvenza e conseguente danno per i creditori; d) tali atti, contrari a norme imperative di natura penale (i fatti portati all’attenzione del Tribunale configuravano il concorso, da parte della creditrice opponente, nel reato di bancarotta semplice ex 217, primo comma, n. 4, l. f.), non consentivano la ripetibilità delle somme «erogate», trovando applicazione la soluti retentio di cui all’art. 2035 c.c., eccezione al principio generale della ripetizione dell’indebito oggettivo. 2. La nozione di buon costume quale limite negativo all’autonomia negoziale dei privati Il motivo più pregnante di ricorso si fonda sulla denunciata violazione degli artt. 2033 e 2035 c.c. Nella prospettiva della ricorrente, infatti, il Tribunale avrebbe errato nel qualificare il contratto come contrario all’ordine pubblico economico e al buon costume, «riduttivamente descritto anche in assenza, tra l’altro, di prova di ‘immoralità’ in capo ad entrambi i contraenti», con l’im­portante conseguenza [continua..]

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