La clausola di exit forzato da cui scaturisce la vertenza consente di soffermarsi sul principio della c.d. equa valorizzazione delle quote di società a responsabilità limitata e sulle ipotesi di esclusione per giusta causa.
Parole chiave: clausola di exit forzato – equa valorizzazione quote - esclusione per giusta causa.
Atypical clause of forced exit and fair value of limited liability company’s quotas The clause of forced exit allows to analyse both the principle of the fair value of limited liability company’s quotas and the circumstances of exclusion for cause.
Keywords: clause of forced exit - fair value of limited liability company’s quotas – exclusion for cause.
1. Il caso
La questione da cui origina l’interesse per la vicenda è quella relativa alla declaratoria di nullità – promossa dai soci di minoranza di una società a responsabilità limitata e respinta sia in primo grado che in appello [1] – di una clausola statutaria in forza della quale i soci che avessero cessato per qualsiasi ragione di prestare la propria attività lavorativa per la società (ovvero per le società da quella controllate o a quelle collegate) sarebbero stati obbligati ad offrire in acquisto pro quota agli altri soci le partecipazioni in loro possesso ad un prezzo equivalente al valore del patrimonio netto corrispondente [2].
Nel caso di specie, le quote societarie nella s.r.l. erano state attribuite agli appellanti – dirigenti di una società per azioni – in forza di un piano di incentivazione avente lo scopo di fidelizzare il personale la cui attività era ritenuta fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi sociali [3]: in quest’ottica il venir meno del rapporto di lavoro, dal quale dipendeva strettamente il vincolo con la s.r.l., avrebbe imposto ai soci – non più dipendenti – di uscire dalla società offrendo in acquisto le loro partecipazioni agli altri soci.
2. La clausola «atipica» di exit forzato
Il primo tema che occorre affrontare pare essere quello della natura giuridica della clausola contestata, che risulta «atipica» anche socialmente [4]. Sul punto la Corte osserva che la clausola integra «un’obbligazione di vendere la quota qualificabile quale obbligo di recesso (recesso vincolato-obbligatorio) che si distingue dall’esclusione del socio in senso tecnico perché qui non si dà corso alla delibera di esclusione assembleare ai sensi dell’art. 2287 c.c. (analogicamente applicabile alla s.r.l.), avente efficacia decorsi trenta giorni dalla comunicazione in assenza di opposizione, ma alla quale obbligazione a vendere si applicano, comunque, analogicamente, gli stessi artt. 2473 bis e 2473 c.c., giacché siamo di fronte, in ogni caso, ad un recesso imposto» [5].
La ricostruzione prospettata dal Collegio non pare condivisibile.
Il diritto di recesso rappresenta uno strumento che tutela l’interesse del socio al disinvestimento della propria partecipazione: si tratta del potere di sciogliersi dalla società per mezzo di una propria unilaterale manifestazione di volontà e, quindi, di ottenere anticipatamente la quota di liquidazione [6].
Nello specifico, tale diritto viene riconosciuto dall’ordinamento al verificarsi di alcune alterazioni significative dell’organizzazione, decise ovvero operate dalla maggioranza e idonee ad incidere sul programma produttivo originario [7]. Il diritto di recesso funge dunque «da correttivo» [8] al potere [continua..]