Nello scritto si esamina il tema della compatibilità della figura dell’amministratore non socio con la disciplina delle società di persone, illustrando le differenti posizioni espresse, sul punto, a livello interpretativo e dalla giurisprudenza ed evidenziando, in particolare, i profili che, anche nella prospettiva comparatistica, convergono nell’escludere che il potere di amministrazione sia attribuito, in tali società, a chi sia estraneo alla compagine societaria.
Artificial intelligence, partnerships and non-partner directors: new insights and (appropriate) safeguards The paper examines the issue relating to the compatibility of the role of the non-partner director with the rules governing partnerships, illustrating the different positions expressed by scholarship and case law and highlighting, in particular, the profiles that, also in the comparative perspective, converge to preclude the management powers to be attributed, in such entities, to individuals who are not part the corporate ownership.
Keywords: Partnerships – Artificial Intelligence - Director.
1. Premessa
Com’è noto, l’idea di un rimaneggiamento profondo delle regole in materia di società di persone si è affacciata con andamento a tratti carsico: già a metà degli anni Ottanta del Novecento si era suggerito di intervenire a livello legislativo col fine di agevolare una sorta di «riscoperta» dei tipi personali da parte degli operatori del mercato [1]; proposta che, ripresa in un successivo progetto degli anni Novanta [2], si è presto arenata. Non più tardi di sette anni orsono, e quindi prima dell’entrata in vigore di alcune addizioni legislative sottese al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, si rilevava ancora che «la disciplina delle società di persone non è stata in Italia oggetto di particolare attenzione negli ultimi tempi» [3].
Il campo dei tipi personali si rivela particolarmente fecondo di problemi applicativi, come si evince da un’osservazione di taglio empirico: le home page delle banche dati e gli indici delle riviste giuridiche evidenziano con notevole frequenza un numero elevato di pronunce che mostrano, se considerate nel loro insieme, come le controversie sul tema siano presenti con regolarità nelle aule di giustizia [4]. Non sorprende, dunque, che la stessa scelta del legislatore di focalizzare l’intervento riformatore del 2003 sulle società di capitali pose sin da subito gli studiosi di fronte all’interrogativo se, e in quale misura, esso fosse destinato a riflettersi anche sulla disciplina, rimasta pressoché immutata, delle società personali [5].
Come testé anticipato, le innovazioni che hanno interessato più da vicino le società di persone hanno ricevuto ospitalità, dal punto di vista strettamente topografico, non già in un corpus normativo ad hoc, bensì nel d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – il c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (c.c.i.i.) – e cioè in un testo di legge che fin dalla sua formale intitolazione ha una vocazione settoriale: disciplinare (non le società in bonis ma) le condizioni di squilibrio, più o meno accentuato, che possono caratterizzare in modo trasversale – a prescindere, quindi, dal tipo societario in concreto prescelto dai soci – l’impresa.
L’approccio del legislatore italiano suggerisce di operare un confronto comparatistico. È stato senz’altro sistematicamente più apprezzabile il diverso metodo seguito da altre legislazioni europee, le cui novità, ancorché rimaste ad oggi in sordina in Italia nella riflessione scientifica, offrono spunti d’interesse anche allo studioso italiano; il pensiero corre, innanzitutto, alla riforma belga e a quella tedesca. Nel primo caso si è assistito, ad opera del nuovo Code des [continua..]