L’articolo affronta il problema dell’individuazione dell’ambito di applicazione delle clausole di prelazione c.d. “incerte”, il cui presupposto oggettivo è delineato attraverso il riferimento ai concetti generici di “alienazione” e “trasferimento”. Dopo aver passato in rassegna le principali opinioni dottrinali e giurisprudenziali in materia, si tenta di proporre un criterio interpretativo alternativo, che inverte il rapporto tra fattispecie e disciplina nell’interpretazione delle pertinenti disposizioni statutarie.
Parole chiave: limiti alla circolazione delle azioni – clausola di prelazione – ambito di applicazione – interpretazione dello statuto.
The interpretation of preemption clauses with uncertain scope of application The article addresses the scope of application of so-called “uncertain” preemption clauses, whose objective conditions are delineated through reference to the generic concepts of “alienation” and “transfer.” After reviewing the main doctrinal and jurisprudential views on the subject, an attempt is made to propose an alternative interpretative criterion, which reverses the relationship between fact and discipline in the interpretation of the relevant statutory provisions.
Keywords: circulation of shares – preemption clause – scope of application – interpretation of the statute.
1. Il problema: l’ambito di applicazione delle clausole di prelazione c.d. “incerte”
È ricorrente – negli studi dedicati ai limiti alla circolazione delle partecipazioni azionarie in generale, e alla clausola di prelazione, in particolare – la premessa secondo la quale le previsioni statutarie che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento [1] delle azioni nominative [2] condensino il bilanciamento tra due contrapposti interessi: da un lato, quello della compagine sociale – considerata come gruppo – a mantenere il controllo sull’ingresso di nuovi investitori in società, se non anche a conservare inalterati i reciproci rapporti di partecipazione al capitale [3]; dall’altro, quello del singolo socio a realizzare il valore economico del proprio investimento attraverso la cessione della partecipazione sul(l’eventuale) mercato secondario [4]; bilanciamento, quest’ultimo, i cui esiti concorrono a delineare il grado di “apertura” o, viceversa, di “chiusura” della società rispetto alle variazioni dei propri assetti proprietari [5].
Della fondatezza di tali assunti non può dubitarsi. Alla base vi si annida, del resto, il meritevole tentativo di fornire ai limiti alla circolazione delle partecipazioni azionarie una lettura unitaria in termini teleologici, tesa a consegnare all’interprete la finalità obiettiva che sta alla base della singola clausola o tipologia di clausole, a prescindere dalle intenzioni – sovente di non agevole ricostruzione – concretamente perseguite dai soci attraverso la loro introduzione nello statuto [6].
Ciò che invece non risulta sempre convincente – quantomeno ad avviso di chi scrive – è il secondo passaggio del ragionamento che spesso ricorre in dottrina: e cioè il tentativo di elevare la sintesi del suindicato bilanciamento di interessi (e, con essa, la funzione tipica della singola clausola) a premessa maggiore di un sillogismo finalizzato a risolvere specifici problemi di disciplina dei limiti alla circolazione delle partecipazioni azionarie: sì, in particolare, da rinvenire – in una materia tendenzialmente riservata all’autonomia statutaria – indicazioni in ordine ai presupposti e ai limiti di operatività di talune clausole limitative.
Si allude al problema – sovente affrontato in dottrina e in giurisprudenza, ma tuttora lontano dall’aver trovato una soluzione univoca – dell’ambito di applicazione delle clausole di prelazione c.d. “incerte” [7]: clausole, cioè, delle quali non è individuato in modo preciso il presupposto oggettivo, costituito dal negozio di trasferimento in presenza del quale sorge il diritto dei soci oblati a vedersi preferiti al terzo potenziale acquirente [8].
Si ha infatti [continua..]