Lo scritto esamina alcune questioni in tema di giudicato endofallimentare, un termine il cui esatto significato è oggetto di dibattito; mettendo in luce aspetti di continuità e di differenza tra la legge fallimentare e il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, l’Autore si sofferma sulle ipotesi nelle quali le decisioni assunte dal giudice delegato e dal Tribunale acquistano un’efficacia esterna alla procedura fallimentare.
Borders of giudicato endofallimentare The paper examines some issues on the subject of giudicato endofallimentare, a term whose exact meaning is the subject of debate; the author highlights aspects of continuity and difference between the bankruptcy law and the Code of the business crisis and insolvency and analyzes the hypotheses in which the decisions taken by the delegated judge and the Court acquire an effectiveness external to bankruptcy.
1. Premessa
L’espressione «giudicato endofallimentare», voce consolidata del lessico concorsuale, è caratterizzata da una certa opacità semantica che ha condotto le Corti e gli interpreti a dividersi sul suo significato.
Ad un primo sguardo, la locuzione parrebbe indicare che le statuizioni rese dal giudice delegato – in sede di formazione dello stato passivo – e dal Tribunale – all’esito dell’opposizione allo stato passivo – esauriscano la loro portata all’interno della procedura fallimentare. Del resto, l’art. 96, ultimo comma, l. f. è piuttosto netto nello stabilire che tali decisioni «producono effetti soltanto ai fini del concorso» [1].
Nelle pieghe della legge fallimentare si annidano, però, elementi che attenuano la perentorietà della norma; è lo stesso legislatore, infatti, a riconoscere che i decreti del giudice delegato e del Tribunale possono talvolta proiettare conseguenze anche al di fuori del fallimento [2]. Va ricordato, in proposito, che, formato lo stato passivo, i pagamenti effettuati in favore dei creditori in forza dei piani di riparto non sono ripetibili, fatta eccezione per il raro caso in cui il decreto di esecutività dello stato passivo sia oggetto di revocazione (art. 114, comma 1, l. f.) [3]; peraltro, ai sensi dell’art. 120, comma 4, l. f. [4] il creditore il cui credito sia stato ammesso allo stato passivo potrà ottenere l’emissione di un decreto ingiuntivo da parte del giudice ordinario producendo, quale prova scritta ex art. 634 c.p.c., proprio il decreto del giudice delegato.
La regola dell’intangibilità dei riparti e il possibile ingresso del decreto di esecutività nel procedimento monitorio costituiscono dunque deroghe all’art. 96, ultimo comma, l. f. e conferiscono alle decisioni del giudice delegato e del Tribunale un’efficacia esterna al fallimento. Tale rilievo suggerisce di scrutare il campo del giudicato endofallimentare da tre punti di osservazione: i) quello del creditore della società fallita, ii) del Tribunale investito dell’opposizione allo stato passivo, iii) del debitore del fallito.
Ci si domanderà innanzitutto quali preclusioni determini per il creditore che si sia insinuato tempestivamente allo stato passivo il decreto che abbia accolto o rigettato l’insinuazione; si rifletterà così sul rapporto tra insinuazione tempestiva e insinuazione tardiva e si verificherà l’interazione di alcuni cardini processuali – tra i quali il tendenziale divieto di frazionamento del credito [5] – col procedimento di accertamento del passivo.
Successivamente si sposterà l’attenzione del lettore sul grado di vincolatività esercitato dal decreto del giudice delegato, in caso di [continua..]