Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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La transazione fiscale nel concordato preventivo, nel concordato fallimentare (di Bartolomeo Quatraro, Barbara Burchi e Roberto Drisaldi)


Il saggio esamina i vari profili, dalla qualificazione, ai presupposti, ai tributi presi in considerazione, della transazione fiscale sia nel contesto del concordato preventivo e fallimentare, sia in quello degli accordi di ristrutturazione e della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.

1. Premessa Prima della riforma del 2005 che, con l'introduzione dell'art. 182 ter ha inserito la transazione fiscale nell'ambito della legge fallimentare, esisteva un istituto affine, la c.d. "transazione esattoriale" o "transazione sui ruoli", prevista dall'art. 3 del decreto legge 8 luglio 2002 n. 138, convertito nella legge 8 agosto 2002 n. 178. Secondo la norma da ultimo citata, quando nel corso di una procedura esecutiva fosse emersa l'insolvenza del debitore, all'Agenzia delle Entrate veniva attribuita la facoltà di transigere i tributi iscritti a ruolo, il cui gettito fosse di esclusiva competenza dello Stato, sulla base del criterio della maggiore economicità e proficuità della transazione rispetto al probabile esito dell'esecuzione coattiva. L'istituto permetteva quindi all'Amministrazione finanziaria di definire transattivamente tutte quelle posizioni creditorie che, all'esito di un giudizio di convenienza, fossero risultate difficilmente o antieconomicamente recuperabili tramite i classici rimedi esecutivi. Tuttavia tale istituto, al di là dell'applicazione al caso di una nota società calcistica (non per altro la norma in esame era anche nota come "decreto salvalazio" o "salva calcio"), non ha avuto molte attuazioni pratiche. Le ragioni della limitata utilizzazione dell'istituto sono state individuate, vuoi nella presenza di alcune rigide condizioni[1] che ne rendevano difficile l'applicazione, vuoi in alcune incertezze interpretative originate dal tenore letterale della norma, vuoi ancora nel rischio di incorrere in future azioni revocatone in caso di eventuale successivo fallimento del debitore[2]. Ma soprattutto, l'ostacolo maggiore era rappresentato dalla scarsa propensione delle agenzie fiscali ad abbandonare il radicato principio dell'indisponibilità del credito tributario. E' noto infatti che, ai sensi dell'art. 53 della Costituzione, tutti i cittadini sono tenuti a contribuire alle spese pubbliche e, di conseguenza, l'Erario si trova a dover amministrare il gettito in tal modo ricavato, non nel proprio interesse, bensì in quello della collettività, con conseguente indisponibilità dei diritti che ne derivano. Inoltre, l'impossibilità di addivenire ad un accordo transattivo che abbia ad oggetto il credito tributario trova un ulteriore fondamento normativo nell'art. 49 r.d. 23 maggio 1924 n. 827 (Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato), il quale prevede che "nei contratti non si può convenire esenzione da qualsiasi specie di imposte o tasse vigenti all'epoca della loro stipulazione". A ciò si aggiunga che un'eventuale transazione fiscale concessa dall'Erario si troverebbe a dover scontare l'incompatibilità con l'art. 87 del Trattato istitutivo della Comunità Europea[3], norma questa che vieta l'erogazione, sotto qualsiasi forma, di aiuti di Stato che, favorendo [continua..]

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