Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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Le ragioni dell'amministrazione straordinaria (di Michele Vietti)


Buongiorno a Tutti. Un saluto affettuoso a Gino Cavalli e alla Sua associazione, a Luciano Panzani, a tutti gli amici che è sempre un piacere incontrare qui ad Alba, a questo appuntamento ormai diventato tradizionale. Io ho due alternative per rispondere alla tua domanda «perché l’amministrazione straordinaria è stata stralciata dalla delega», Paola: il linguaggio di Micossi o il linguaggio di Panzani. Provo a trovare una terza via. Dico subito che, quando Luciano mi ha proposto questo tema, ho provato qualche imbarazzo perché l’argomento per me rappresenta un fallimento personale, e dico fallimento nell’accezione tradizionale, nel senso di una sconfitta, perché l’esito parlamentare su questa materia ha profondamente frustrato gli sforzi della Commissione Rordorf. Come sanno gli addetti ai lavori, facemmo un grande sforzo per trovare una soluzione di mediazione su un argomento che si rivelò subito molto sensibile, anche perché la Commissione, ed in particolare la mia sottocommissione, fu costituita, a mio parere, in modo poco prudente. Fin da subito fu chiaro che il contrasto sul tema non era di tipo dottrinale o giuridico, ma politico, di potere, tra le competenze del Ministero dello Sviluppo Economico in materia di Amministrazione Straordinaria, che non vi voleva rinunciare e lo sforzo – invece – di rinnovamento in termini di organicità della riforma che viceversa, a mio parere, avrebbe dovuto portare all’assorbimento pressoché totale di questo istituto straordinario dentro le procedure concorsuali ordinarie.

Perché non è stato possibile superare questo contrasto? Con il linguaggio di Micossi dovrei richiamare l’affezione di una parte della Commissione al ruolo dei commissari straordinari e la rivendicazione forte, politica, della competenza a nominarli. Con il linguaggio di Panzani, che ho molto apprezzato, dovrei dire che i commissari straordinari presenti in Commissione avevano una grande affezione alle proprie competenze ed erano molto preoccupati che queste andassero perdute in caso di revisione dell’istituto. Affido le due risposte alla sensibilità, o alla malizia, della platea. Perché dico che, a mio parere, ci sarebbero state tutte le condizioni per ricondurre questo istituto “stra-ordinario” alla ordinarietà della riforma organica delle procedure concorsuali? Perché questo ci dice l’evoluzione dell’ammi­nistrazione straordinaria e delle procedure concorsuali. Il vecchio fallimento del ’42, era punitivo, prestava scarsissima attenzione alla continuità aziendale e alle ragioni dei creditori; lo Stato era il titolare dell’economia nazionale e dunque diventava il gestore dell’impresa in crisi e si riteneva che lo facesse bene, proprio perché lo poteva fare attraverso i suoi due bracci armati – il Giudice delegato e il curatore – e certamente lo faceva meglio rispetto ai privati debitori e creditori che dell’economia nazionale erano le comparse ma non i protagonisti. Questo era lo scenario in cui il legislatore autoritario fa la legge per la gestione dell’insolvenza. Ecco perché nel ’79, vigente quella impostazione, della legge fallimentare, il legislatore, forse anche a ragione, si pone il problema di introdurre una procedura a specialità accentuata, o addirittura quasi specialistica, per realizzare la tutela della continuità aziendale, per proteggere la rilevanza sociale dell’impresa, per proteggere, lo dico con un certo timore rispetto a Micossi che mi guarda minaccioso, l’occupazione. Sta di fatto che il legislatore della fine degli anni ’70, già in grande affanno rispetto a tutte le contraddizioni del nostro sistema economico che stavano venendo al pettine per quelle ragioni storiche che Micossi ci ha ricordato, a fronte di una procedura concorsuale che non contemplava queste prospettive, in particolare la continuità aziendale e la rilevanza anche sociale oltre che economica dell’impresa, ricorre all’invenzione di uno strumento appunto “straordinario”. Ma io mi chiedo: dopo la riforma del 2005/2006, e nonostante tutte le contraddizioni degli anni successivi, a fronte della nuova legge fallimentare, quale è ancora la ragione superstite per far sopravvivere una procedura straordinaria che tuteli la continuità aziendale che, oggi è pacificamente ammesso da tutti, la legge fallimentare riformata [continua..]

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