Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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Il dovere di astensione degli amministratori di banche in conflitto di interessi nel nuovo art. 53, comma 4, t.u.b. (di Andrea Sacco Ginevri)


Il lavoro analizza la disciplina sul conflitto di interessidegli amministratori di bancherecentemente introdotta nell’art. 53, comma 4, del t.u.b. In particolare, l’analisi si concentra sull’obbligo per tali amministratori di astenersi dalle deliberazioni in cui essi abbiano un interesse in conflitto, evidenziando le diverse misure organizzative e gestionali applicate alle banche rispetto a quelle adottate dalle imprese non bancarie.

The duty of abstention of directors of banks in conflict of interest in the new Article 53, paragraph 4, of the Italian Banking Act

This article analyzes the regulation on conflict of interest of directors of banks recently introduced by Article 53, paragraph 4, of the Italian Banking Act. In particular, the work focuses on themandatory abstention for directors of banksin case they have an interest in conflict, comparing the organizational devices applicable to bankswith those concerning non-banking entities.

Sommario 1. Verso una maggiore rigidità nella disciplina sul conflitto di interessi degli amministratori di società bancarie. – 2. La prevenzione del conflitto attraverso il dovere di astensione dell’amministratore. – 3. Le modalità di gestione dell’interesse in conflitto. 4. (Segue): le conseguenze di una tutela preventiva dell’interesse sociale bancario. 1. Verso una maggiore rigidità nella disciplina sul conflitto di interessi degli amministratori di società bancarie L’eccesso di affidamento riposto su una disciplina del conflitto di interessi degli amministratori improntata al rimedio della trasparenza (riscontrabile in Italia nell’art. 2391, c.c. post riforma societaria del 2003) ha mostrato i primi segni di debolezza con le crisi di inizio millennio negli Stati Uniti (Enron, Worldcom, Artur Andersen, ecc.) e in Italia (Parmalat), a cui hanno fatto seguito, rispettivamente, il Sarbanes-OxleyAct of 2002 [1] e la legge sulla tutela del risparmio n. 262 del 2005 [2]. In risposta a siffatte turbolenze, dalla portata sistemica significativa, i regolatori finanziari hanno accentuato la divergenza fra le norme applicabili alle società “chiuse” e le prescrizioni rivolte alle società che svolgono un’at­tività avente riverberi sull’efficiente gestione e allocazione del pubblico risparmio [3]. Quanto precede spiega l’introduzione di specifiche disposizioni – applicabili solo alle società “di interesse pubblico” [4] – volte a procedimentalizzare fattispecie in cui si manifesta fisiologicamente una situazione di conflitto di interessi in ambito gestionale. Ne è derivato un processo di progressiva emancipazione delle società “di interesse pubblico” verso una crescente istituzionalizzazione, nel convicimento che un management più qualificato e indipendente, e meno esposto al rischio di conflitti di interesse, garantisse una efficiente gestione del pubblico risparmio da esse raccolto e investito [5]. Il percorso in parola ha subìto una notevole accelerazione con la crisi finanziaria più recente (Lehman Brothers, ecc.), a cui si è reagito con il Dodd Frank Act of 2010 negli Stati Uniti e, nell’Unione europea, con le direttive CRD IV, MiFID II, BRRD e loro normative di attuazione [6]. Le suddette vicende hanno dimostrato l’inidoneità delle misure normative precedentemente adottate a proteggere il risparmio pubblico dal rischio di abusi in larga parte derivanti da una gestione del problema del conflitto inefficiente e da una governance bancaria inadeguata [7]. In risposta alla crisi iniziata nel 2007, i regolatori e le autorità di vigilanza hanno introdotto regole particolarmente stringenti, che hanno riguardato sia il fronte della internal governance che quello del governo [continua..]

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